La Croce rossa ha 150 anni.
Ma senza lo stato non sopravviverà
La riforma fatta nel 2012 che ne prevede la privatizzazione toglie 153 milioni di contributi statali. Impossibile per l'ente pioniere proseguire ad aiutare chi soffre
«Tutti fratelli!», andava ripetendo Henry Dunant sulla piana fangosa
di sangue dopo la cruentissima battaglia di Solferino. Da quella
consapevolezza fondò il movimento internazionale di Croce rossa e
nell’anniversario della sua nascita – 8 maggio – viene celebrata in
tutto il mondo la Giornata mondiale della Croce rossa.
La Croce rossa italiana (tra i soci fondatori, come sempre partecipe
ad avviare cose grandi), insieme ad altre 189 società nazionali di Croce
rossa è impegnata – da allora e ogni giorno – ad offrire servizi
tempestivi e risolutori in ogni tipo di crisi umanitaria: dalla più
piccola, del singolo, a quelle internazionali, che siano guerre o
calamità naturali.
La Croce rossa è origine e fondamento del Diritto internazionale
umanitario, detto anche diritto dei conflitti perché perfino nella
violenza delle guerre ci sono limiti imposti alla tutela dei più
vulnerabili. Per l’opinione pubblica la Croce rossa Italiana è “un dato
di fatto” e quindi l’apprezza ma non la conosce bene nella sua
organizzazione e nelle sue funzioni.
Neanche il parlamento, affrontando il riordino di questa benemerita
organizzazione ha suscitato un ampio dibattito che rendesse conto dei
grandi meriti dei volontari nei 150 anni della sua presenza in Italia.
Anzi, poco prima della caduta del governo Monti si è posto mano a una
riforma che avrebbe dovuto trasformarla in associazione di diritto
privato. Una riforma inadeguata e intempestiva proprio in un periodo in
cui le crisi interne e internazionali avrebbero dovuto esigere una
capacità di reazione che la Cri ha sempre dimostrato con il sostegno
generoso della popolazione italiana. In quanto “ausiliaria dei poteri
pubblici” sarebbe mobilitabile in maniera propria nella vicenda
drammatica dei profughi.
Purtroppo, non si è tenuto in nessuna considerazione, innanzitutto,
che la Croce rossa italiana, essendo un ente umanitario la cui
maggioranza dei servizi è corrisposta gratuitamente o a prezzo dei costi
vivi, non potrà sopravvivere a lungo senza il contributo dello stato
(154 milioni di euro) a meno di far pagare a caro prezzo i suoi servizi.
E se ne sono accorti gli stessi volontari della Cri che ne avevano
auspicato la privatizzazione. Possibile, purché ben definita nei modi e
nei compiti primari ed esclusivi affidati alla Cri, che deve rimanere
ausiliaria dei poteri pubblici.
L’Agenzia delle entrate, peraltro, ha rifiutato ai Comitati Cri
privatizzati dal 1 gennaio 2014 di usufruire del regime tributario di
favore previsto per le Onlus poiché non godono di piena autonomia
giuridica e gestionale. Inoltre, la Cri sta svendendo il patrimonio
immobiliare per la fretta di ripianare i debiti prima della chiusura
dell’ente pubblico. Lo stesso Tar del Lazio lo scorso aprile ha sospeso
le procedure di privatizzazione fino al 29 ottobre.
Il personale dipendente della Cri dovrebbe, dal 1 gennaio del
prossimo anno, essere posto in mobilità, senza alcuna garanzia di una
nuova assegnazione e dopo due anni (con la prevedibile ansia di 4 mila
famiglie) andrà a infoltire le schiere dei troppi disoccupati italiani.
In questi 150 anni la Croce rossa italiana è stata pioniera nel campo
del soccorso, della salute e della solidarietà. Unica nel suo genere,
sin dalla sua origine ha testimoniato, sempre, con i fatti, di essere
all’avanguardia nel dare risposte efficienti nella lotta contro ogni
forma di sofferenza.
È stata la prima a creare quello che oggi chiamiamo il soccorso di
emergenza/urgenza sanitaria, con l’ambulanza, da cui poi è nato il
Sistema 118, a creare un sistema di soccorso in protezione civile, da
cui poi è nato il sistema di Protezione civile, è stata la prima a dare
risposte nell’assistenza ai migranti, ai tossicodipendenti, ai poveri,
ai senza fissa dimora, alle persone anziane etc.
L’8 maggio, dunque, è il giorno in cui gli operatori di tutto il
Movimento vengono festeggiati e ringraziati dalle loro comunità per il
lavoro appassionato e competente che svolgono a favore di quanti
soffrono. Anche la Cri lo meriterebbe.
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