Con la pubblicazione sulla
«Gazzetta Ufficiale» dello scorso
19 ottobre, il decreto legislativo
n.178/2o12 ha reso definitive
le tappe della privatizzazione
della Croce rossa italiana. Un
provvedimento atteso da anni
che, trasformando la Cri in soggetto
privato e autonomo, di fatto
torna alle origini. «Occorreva
restituire la Croce rossa ai suoi
soci», spiega Francesco Rocca,
dal 2009 commissario straordinario
dell`ente. «In Italia l`organizzazione
ha avuto sempre un
carattere di istituzione pubblica,
di fatto modificando l`idea delle
origini di un`associazione di volontari
mobilitati per il soccorso
dei feriti di guerra. La privatizzazione
libererà energie e risorse,
portando la Croce rossa a una
nuova fase di piena autonomia,
anche economica, che darà forza
al lavoro dei 550 comitati locali».
Un percorso analogo è già avvenuto
in Spagna e in Canada
con risultati ampiamente positivi
in termini di efficienza e di disciplina
nei bilanci. Ma per quan-
o riguarda il riordino previsto
per la Cri restano diversi nodi da
sciogliere: c`è un rosso di 70 milioni
di euro e per ripianare il debito
il commissario straordinario
non vede che due strade. La
prima, che ha riscosso poco entusiasmo
presso i soci, è di autotassarsi
con un contributo straordinario,
ma è una via poco percorribile
visto che i comitati virtuosi
non hanno nessuna voglia di accollarsi
i debiti provocati da altri
meno accorti e dalla gestione
centrale. La seconda via è quella
della dismissione patrimoniale:
oggi la Cri possiede 1.40o immobili,
alcuni di grande pregio, per
cui basterebbe fare una selezione
e decidere cosa mettere in
vendita per ripianare il rosso.
Spiega il commissario: «La
decisione di alienare beni della
Croce rossa dev`essere presa
dall`assemblea: la sede di via
Toscana a Roma per esempio,
con i suoi 4mila metri quadri ha
un valore sicuramente interessante,
così come altri immobili.
La scelta spetta ai soci». La via
del risanamento passa dunque
dall`autogestione e non da contributi
pubblici.
Ma le criticità con cui è alle
prese la Croce rossa non finiscono
qui. Per funzionare, i comitati
hanno bisogno di personale, oltre
che di volontari. Oggi sono
2.500 dipendenti assunti a tempo
indeterminato e1.400 i lavora tori
precari, per effetto delle convenzioni
con enti pubblici. Sul loro
destino il decreto parla chiaro.
Il personale precario, legato a
servizi in convenzione, dovrebbe
passare alla nuova associazione,
come puntualizza ancora
Rocca, «purché sopravvivano i
servizi convenzionati per i quali
è sorto il rapporto. Non è stato
possibile assumere i precari, perché
legati alle convenzioni con il
pubblico. Gli altri dipendenti, civili
e militari, a:tempo indeterminato
dovranno decidere entro il
31 dicembre 2015 se passare con
la nuova associazione, nei limiti
dell`organico provvisorio, oppure
se rimanere dipendenti del
vecchio ente». Per questi ultimi,
a partire dal i ° gennaio 2016, potrebbe
scattare la mobilità. Ai di-
pendenti militari della Cri dovrebbe
spettare una quota di 300
unità, quale corpo ausiliare
dell`esercito.
Soddisfatti della privatizzazione,
ma scontenti su alcuni
punti del decreto gli altri soggetti
privati del soccorso: «Restano
criticità che andranno necessariamente
riviste», chiarisce
Fausto Casini, presidente nazionale
dell`Anpas, Associazione
nazionale pubbliche assistenze.
«La prima è che il nuovo ente sarà
una Aps, a livello nazionale,
mentre i comitati locali saranno
associazioni di volontariato
iscritte ai registri ex lege 266/91.
Nel testo si dice che le amministrazioni
pubbliche sono autorizzate
a stipulare convenzioni
"prioritariamente" con l`associazione,
di fatto violando il principio
di • eguaglianza sancito
dall`articolo 2 della Costituzione.
Si rischia di non rinnovare
convenzioni con altri soggetti
già operanti, perché la pubblica
amministrazione deve privilegiare
la Croce rossa. Un soggetto
privato non può avere queste
facilitazioni: o è in concorrenza
alla pari con gli altri enti, oppure
qualcosa non funziona».
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