Dopo 150 anni l’ente si avvia ad una controversa privatizzazione. Per alcuni è un colpo mortale, per il commissario Rocca la sua salvezza. La lunga e tortuosa strada verso il rilancio.
Scongiurato il rischio di una privatizzazione totale, come previsto nell’articolo 2 del progetto di riforma finanziaria voluto da Tremonti, poi ritirato, non appare ancora chiaro il futuro della Croce Rossa. Quello che sembra certo è che non resterà come ora un ente di diritto pubblico a carattere non economico, e che con tutta probabilità sarà privatizzato per gran parte delle sue componenti.
Nel progetto di riforma discusso, nell’incontro di sabato scorso, tra i vertici nazionali e quelli regionali emerge un quadro indefinito: il comitato centrale e i comitati regionali dell’ente rimarrebbero pubblici (in sostanza la testa dell’organizzazione), mentre i comitati locali verrebbero privatizzati, anche per snellire e garantire una maggiore efficienza degli stessi. E i comitati provinciali? Non una parola sulla loro sorte, nonostante siano il cuore pulsante dell’attività della Croce Rossa, il comparto dove lavora il più alto numero di dipendenti sia di ruolo che precari.
Per intenderci, nel Lazio il comitato centrale di Cri conta circa cento dipendenti, quello regionale una ventina, mentre il comitato provinciale è formato da quasi cinquecento unità. Che fine farebbe? Facile immaginare che una parte del livello provinciale sarebbe assorbito dal regionale (non molti), un’altra dal centrale (pochissimi, essendo questo già saturo), ma il grosso sarebbe ‘tagliato’.
Il rischio che la vecchia Cri venga messa in liquidazione, il personale civile a tempo indeterminato vada in mobilità, i precari spediti a casa e il personale militare trasferito al ministero della Difesa, quindi, resta. Se si affianca il problema relativo al cambio di status giuridico ad un buco di bilancio non irrilevante, oltre alle condizioni operative sempre più ardue in cui lavorano il personale fisso, quello precario e i volontari, si comprende che il futuro non è certo roseo.
Francesco Rocca |
“Se la Croce Rossa versa in queste condizioni è anche colpa delle politiche attuate dal commissario Rocca”, denunciano i lavoratori aderenti all'Unione Sindacale di Base. Secondo Massimiliano Gesmini (Usb), infatti, se la Cri perde le convenzioni è anche a causa di un sistema ‘truffaldino’. In breve, il costo delle convenzioni stipulate con la Croce Rossa ricade sulle Regioni. Rocca, a detta dei rappresentanti Usb, metterebbe in carico alla Regione non solo il costo del personale a tempo determinato (assunto per supportare l’opera del personale fisso) ma anche quello del personale a tempo indeterminato, che in questo modo costa il doppio alle casse pubbliche. Ci si chiede come sia possibile che la Regione (dotata di un’apposita commissione bilancio) non abbia mai chiesto le specifiche dei costi.
Questo modus operandi sarebbe anche uno dei motivi per cui, ad esempio, il costo della convenzione tra Cri e l’Ares del Lazio (il numero d’emergenza sanitaria 118) è lievitato dai 12 milioni di euro del 2008 ai 19 milioni chiesti dal commissario Rocca per il rinnovo della stessa nel 2011. La convenzione scadeva il 31 maggio, l’Ares ha mal digerito la richiesta. Si è dunque arrivati all’emanazione di due proroghe (l’ultima termina il 31 dicembre dell’anno in corso) dopo l’intervento del Prefetto.
Cosa replicano i vertici della Croce Rossa a queste accuse?
Raggiunto dalla nostra redazione il commissario Francesco Rocca smentisce totalmente la tesi dei sindacati di base. Per Rocca queste sono accuse strumentali, l’impiego del personale, che sia fisso o precario, per mansioni ‘extra funzionali’ ha un costo che deve essere rimborsato dalle Regioni. Alla nostra domanda su cosa pensa del progetto di riforma di Cri, Rocca ci ha risposto che “la Croce Rossa è dei volontari, non dei comitati. L’idea dei volontari è quella di abolire i comitati provinciali, una struttura ormai barocca. In alcuni casi - ha proseguito - questi sono affetti da gigantismo come nel caso di Roma, dove si perdono 10 milioni di euro l’anno”. Una voragine non da poco.
Il commissario sostiene quindi che “una parte dei dipendenti dei comitati non possa condizionare la riforma per il rilancio dell’associazione”. Sul progetto di privatizzazione Rocca si dichiara favorevole in toto: “la salvezza della Croce Rossa passa attraverso la privatizzazione dei comitati. La strada da seguire sono le regioni in cui si manifestano esempi virtuosi. In queste regioni (Liguria, Lombardia, Toscana), il numero dei volontari è nettamente superiore a quello del personale. Lo scopo di Cri è di guardare gli ultimi e fare cassa affinché gli utili vengano spesi per le necessità dei più poveri".
Infine, sul rinnovo della convenzione nel Lazio con l’Ares 118, Rocca si dichiara pessimista: “L’Ares è intenzionata a bandire una gara europea, e quindi Cri, in questo caso, sarebbe spacciata a causa dei costi troppo alti del servizio che offre”, ha concluso il commissario.
In attesa di capire se l’articolo della finanziaria sulla privatizzazione dell’ente, buttato dalla finestra, non rientri dalla porta tramite un emendamento, rimangono molte ombre e poche luci sul futuro della Croce Rossa e sul suo ammodernamento.
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