La parola ai dipendenti
L’ipoteca sul futuro è il peso dell’oggi. Che fine farà la Croce Rossa italiana?
Se lo chiedono i 4300 dipendenti ‘appesi’ agli effetti incrociati di
due leggi: quella sul pubblico impiego (Brunetta) e il decreto sul
riordino della Cri, predisposto dal governo uscente all’interno del
grande dossier sulla spending review. Preoccupazione che Intelligonews
raccoglie, in attesa che il nuovo esecutivo affronti e risolva i nodi
ancora aperti.
LA RIFORMA .
Stiamo parlando di una trasformazione radicale nel solco di una pur
necessaria razionalizzazione delle risorse in tempi di vacche magre, ma
che finora, lascia prospettive incerte su chi nella Cri ci lavora da una
vita e soprattutto, ridisegna su parametri molto rigidi e secondo una
logica privatistica la funzione sociale dell’ente. Che tradotto vuol
dire: servizi sanitari sul territorio, assistenza, ambulanze,
volontariato. Un numero su tutti: ogni anno la Cri garantisce qualcosa
come un milione di servizi di ambulanza (118) su tutto il territorio.
Centocinquantamila i volontari. Ma Croce Rossa significa anche tutta la rete di compiti che insieme ad altre sigle tiene in piedi la Protezione civile,
alla quale si aggiungono attività umanitarie nei centri di accoglienza
per gli immigrati (Cie) e le missioni di supporto alle popolazioni
civili nei teatri di guerra internazionali.
La legge fissa la nascita dell’associazione della Croce Rossa
italiana che da ente pubblico diventa un soggetto di diritto privato.
Data: 1 gennaio 2014. La nuova Cri (sarà affiancata dall’attuale che
assume la denominazione di “ente strumentale alla Croce Rossa italiana”
mantenendo la personalità giuridica di diritto pubblico come ente non
economico) dovrà ricalibrare e riorganizzare tutti i compiti “sia in
tempo di pace che di guerra”. La transizione si concluderà il 1 gennaio
2015, ma gli effetti si rifletteranno su dipendenti e servizi. La
razionalizzazione delle risorse passa infatti da una riduzione del
personale in esubero – alcuni dipendenti parlano di un dimezzamento
degli attuali 4mila tra civili e militari – ma l’aspetto più
preoccupante per chi ci lavora riguarda la revisione dei servizi
sanitari sul territorio che porterà – dicono – a una logica gestionale
che rischia di incidere sul livello qualitativo delle prestazioni e dei
servizi di assistenza sanitaria finora garantiti ai cittadini. In
sostanza: condividono l’impianto della riforma ma temono uno
snaturamento della funzione sociale che sta nel dna della Cri.
FUTURO INCERTO.
L’altro aspetto che preoccupa, e non poco, i dipendenti riguarda
l’incertezza sulla ricollocazione di quanti non rientreranno
nell’organigramma della nuova Cri. A questo si aggiungono le novità
introdotte dalla legge Brunetta sulla mobilità del personale da un ente pubblico all’altro, ritenute “penalizzanti”.
“Nel decreto – spiegano i dipendenti a Intelligonews– non è indicata
alcuna norma di salvaguardia che invece viene prevista per altri enti
riformati”. E aggiungono: “Mentre viene indicata la destinazione della
ricollocazione del personale in esubero ad esempio per Unire, Isae
o altri enti parastatali assorbiti nell’orbita Inps, per noi non c’è
indicazione”. In altre parole, se nei prossimi due anni non sarà sciolto
il nodo, il rischio è che chi finirà tra gli esuberi non avrà alcuna
alternativa occupazionale.
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